Small is the new big: uno spunto di riflessione di tendenza nell’attuale mondo della comunicazione.
Prendendo spunto dalla nuova valenza che il guru del marketing Seth Godin attribuisce al piccolo, MediaStars chiede ai professionisti della comunicazione di rappresentare la loro esperienza alle prese con l’esigenza di rispondere creativamente alla riduzione delle risorse, progettando soluzioni efficaci in linea con la strategia one-to-one che il mercato e le aziende stanno attualmente sperimentando.
Di seguito l’intervista al nostro Massimo Rinaldi pubblicata qui.
1. Piccolo è il nuovo grande. Come interpretare questa nuova valenza messa in risalto da Seth Godin, scrittore di successo e guru del marketing?
Seth Godin esorta le grandi organizzazioni a diventare piccole per pensare in grande (“Get small. Think big.”) e credo sia la strada che inconsapevolmente ho scelto anche io a livello personale.
Oggi sono socio e art director di una piccola agenzia dove ogni persona fa reparto responsabilizzando al massimo il proprio apporto all’organizzazione perché stimolata dalla consapevolezza di essere insostituibile per la buona riuscita di un progetto. Con questa responsabilità sulle spalle, scegliere i propri compagni di avventura o scegliere a quale avventura prendere parte, diventa un compito attraverso il quale ci accorgiamo quanto siano le competenze specifiche e i curricula di chi compone l’organizzazione stessa ad essere la vera cartina tornasole per valutare la nostra capacità di sviluppo.
Questo modello organizzativo, così incentrato sulle competenze del singolo, è il terreno più fertile per la nascita e lo sviluppo di grandi idee e progetti. Come il germoglio che deve farsi strada nel terriccio per sbocciare, il singolo nella grande organizzazione deve farsi strada tra livelli di approvazione diversi che a volte smorzano, modificano e purtroppo spesso corrompono la genuinità dell’idea iniziale prima che questa venga presentata. Nelle piccole organizzazioni non ci sono ostacoli di questo tipo: un’idea può essere subito attuata e l’energia incanalata esclusivamente nella realizzazione del progetto. Ovviamente, e torniamo al discorso della responsabilità individuale, ci vuole grande coraggio e pragmatismo per capire in autonomia quando si ha intrapreso la strada sbagliata e quando quella giusta.
2. La riduzione dei budget può portare all’ottimizzazione della strategia di comunicazione delle grandi aziende?
Dobbiamo pensare che da una limitazione possa nascere un’occasione. Un’occasione per ottimizzare il metodo che abbiamo sempre utilizzato, oppure un’occasione per scoprire nuove soluzioni e quindi nuove strade. Insomma, fare di necessità virtù. Un esempio: sempre più spesso non abbiamo più una comunicazione spalmata sui più media, ma scegliamo con precisione quale canale utilizzare. E non è questa una straordinaria occasione per ripensare la comunicazione? Anche partendo dal media e sfruttandone le caratteristiche, così da affinare il messaggio rendendolo più efficace, Il risultato è una comunicazione migliore, eppure l’abbiamo ottenuta da una situazione di svantaggio.
3. Come le aziende seguono la tendenza dell’attenzione al singolo, al mercato one to one, ai social network per distinguersi nella comunicazione attuale?
Già negli anni 80 Toffler parlò non più di consumatori ma di prosumer, soggetti ibridi fra produttori e consumatori, nati grazie all’avvento di una tale mole di informazioni, al cospetto delle quali nessun produttore poteva più mentire, negare o salvarsi la faccia nel caso di eventuali fallimenti.
Il web è stato l’amplificatore di questa evoluzione del cliente: quale contenitore di sapere è più snello, pratico e fruibile del web? E quale piazza al giorno d’oggi è più grande e frequentata se non quelle dei social network?
Il cliente, grazie al web, sa e, grazie ai social network, dice e vuole avere risposte: le aziende devono parlare con i clienti come se parlassero con dei loro pari, devono stabilire un dialogo trasparente con le persone che acquistano i loro prodotti.
Ovviamente i social network non devono diventare un ufficio reclami 2.0 e perché ciò avvenga, la responsabilità è prima di tutto delle aziende: coinvolgere prima dell’acquisto (o dell’utilizzo di un servizio), accompagnare nell’esperienza d’uso ed essere presenti in un terzo momento d’assistenza.
E’ un percorso, quello che oggi dovrebbe fare un social media manager che viene messo a contatto con una comunità di utenti informati, per evitare di trasformarsi nel carpio espiatorio di turno, ma soprattutto per arrivare ad utilizzare al massimo delle loro potenzialità degli strumenti la cui demarcazione fra utile e futile è ancora molto labile.